Manca sempre meno al Black Friday (so che solo la parola vi fa venire voglia di aprire il computer per dare una sbirciatina alle offerte del giorno). E come ogni anno, iniziano a riempirci di pubblicità su sconti imperdibili. Capisco che sia difficile resistere alla tentazione di approfittare di certe offerte. Ma quanti degli acquisti che facciamo in questi giorni sono davvero necessari? Quanto di quello che compriamo, ammaliati dagli sconti, sono beni di cui non possiamo proprio fare a meno? Ve lo dico io, quasi nessuno. E ci siamo mai chiesti che cosa significa per il pianeta e per i lavoratori? Piccolo spoiler, anche per il pianeta e per i lavoratori sono giorni neri…

Come tutto è cominciato

Partiamo dall’inizio, come è giusto che sia: il Black Friday ha origine negli Stati Uniti e si svolge il venerdì successivo al Giorno del ringraziamento. Fu ideato dai grandi magazzini Macy’s nel 1924 per dare ufficialmente il via allo shopping natalizio, una volta superato il Thanksgiving day.

Black friday: insegna led sconti sulle grandi marche

Le ipotesi sul significato di “Black Friday” spaziano molto. C’è chi lo associa al traffico e ai disagi creati dalle centinaia di migliaia di persone in coda per assicurarsi i prodotti scontati. Altri lo attribuiscono al venerdì nero delle aziende, i cui dipendenti si davano malati per poter approfittare degli sconti. Ma la più probabile ha a che fare con i libri contabili dei negozi, che da quel giorno dell’anno cominciavano a registrare costantemente il segno + e così a “colorarsi” di nero (con il nero si segnavano i guadagni, al contrario del rosso che identificava le perdite).

Viva il Black Friday

E sì, lo so che siete già pront* con il telefono in mano per acquistare tutto ciò che di più accattivante il web vi possa offrire. Vestiti, borse, scarpe, cellulari e oggetti che normalmente non degneremmo di uno sguardo, ora ci sembrano irrinunciabili. E tutto grazie allo sconto del 50% che li ha rivestiti di rinnovata bellezza.

È quello che gli esperti descrivono come FOMO, ovvero “Fear Of Missing Out” (qui trovi l’articolo di unobravo.com per approfondire) un problema che si è fatto sempre più evidente con l’avvento di Internet. Semplificando, è il timore inconscio di rimanere esclusi da eventi a cui tutti partecipano, di non poter approfittarne così come fanno tutti gli altri.

Ragazza al computer (aquisti per il black friday)

Ma dietro lo smartphone di ultima generazione, dietro i vestiti e le scarpe di tendenza che lo sconto del 50% ha reso indispensabili alla sopravvivenza, ci sono costi sociali e ambientali sempre più insostenibili.

Danni su danni su danni

Alla base di tutto ciò che compriamo, che sia un prodotto tecnologico, uno di fast fashion oppure un giocattolo, c’è un’intera filiera. Una filiera che include l’estrazione o la produzione del materiale in cui l’oggetto è realizzato, la sua successiva lavorazione, il suo confezionamento e il trasporto.

Una richiesta così grande di oggetti nuovi non può che determinare uno sfruttamento più intenso di materie prime. Materie che andrebbero invece impiegate in modo più parsimonioso perché sono inesorabilmente destinate ad esaurirsi.

E acquistare online ha un peso ancora più alto sull’inquinamento da trasporto. Il prodotto comprato deve infatti essere consegnato al cliente, spesso passando da una parte all’altra del Paese – o addirittura arrivando dall’estero – rimbalzato da un magazzino all’altro.

I numeri neri del Black Friday

Uno studio condotto nel 2020 nel Regno Unito riporta dei dati davvero allarmanti. Solo in Gran Bretagna, le emissioni da trasporto per le consegne del Black Friday equivalgono a 435 voli andata e ritorno dall’Europa a New York. Si tratta di ben 429.000 tonnellate di CO2 che vengono rilasciate in atmosfera in pochissimi giorni. E ogni anno le vendite durante il “venerdì nero dello shopping” crescono di circa il 14%, con tutto quello che ne consegue in termini ambientali.

Traffico in città (per il black friday)

La quantità di rifiuti dovuta al Black Friday è difficile da calcolare. Ma secondo il Freight Leaders Council – l’associazione che riunisce le aziende leader nella logistica – gli acquisti di questo periodo generano il più alto tasso di scarti da imballaggio nell’intero anno. Perlopiù plastica, come sacchetti e pellicole, ma anche polistirolo e altri derivati. E non è tutto, poiché la ricorrenza genera anche moltissimi RAEE, ovvero rifiuti elettronici. L’80% degli acquisti del Black Friday sono infatti relativi a device digitali. E questo crea un ricambio eccessivo per prodotti che potrebbero ancora garantire molti anni d’utilizzo.

E i lavoratori che ne pensano?

Ma cosa si cela dietro questo meccanismo? La risposta è una sola. Le persone, i lavoratori. Infatti, milioni di persone in tutto il mondo vengono impiegate in questi periodi (e non solo) nel settore della logistica. E hanno lo scopo di assicurare che tutti gli ordini vadano a buon fine e ogni consumatore riceva il proprio pacco per tempo.

Ragazze con busta di grandi marchi in testa (per acquisti del black friday)

Una realtà lavorativa fatta di ritmi estenuanti, chilometri percorsi ogni giorno a passo svelto e movimenti sempre uguali che possono portare a problemi di salute. Per non parlare delle pause pranzo con tempistiche irrisorie e dei controlli severi sulla produttività del lavoratore.

E con l’aumento della quantità del lavoro, naturalmente, c’è anche un aumento del numero di lavoratori all’interno dell’azienda, che diventano quasi il doppio. E anche questa sovra-popolazione all’interno del luogo di lavoro affatica il dipendente dell’azienda. Nei periodi di picco si passa da circa 1600 lavoratori a 3200-3500. E quelli aggiunti sono lavoratori somministrati, ovvero assunti attraverso agenzie di cui sono dipendenti.

E quindi?

Per effettuare un ordine online, ci basta un click. Un movimento dell’indice che innescherà un processo di recupero e consegna dell’oggetto che abbiamo scelto. Ciò che forse non calcoliamo, è che questo minimo movimento ha delle conseguenze. E non solo sul nostro guardaroba, non solo sui lavoratori, ma anche sull’ambiente che ci circonda.

cartello "you don't need it but you want it buy" sul consumismo del balck friday

Quindi, prima di fare click e acquistare qualcosa di cui non abbiamo bisogno, sperando che quell’acquisto possa riempire un vuoto o una mancanza, fermiamoci un secondo a riflettere. Mi serve davvero? Ne farò buon uso? Lo utilizzerò nel tempo o mi stancherò dopo un mese? Sono sicur* di voler spendere i miei soldi per qualcosa che non cambierà la mia vita e che non mi renderà migliore? Sono davvero dispost* a impattare negativamente sul Pianeta e sulla vita di milioni di lavoratori solo per non “rimpiangere” uno sconto del 50%? Magari facendoci queste domande ogni volta che veniamo attirati da qualche offerta, riusciremo a fare del bene al nostro portafoglio, al pianeta e ai lavoratori.