Il fast fashion rappresenta una vera e propria piaga per il settore moda. Con la sua comparsa ha destabilizzato l’intero sistema e a pagarne le conseguenze siamo tutti noi. L’inquinamento che provoca questo modello di produzione non è più sostenibile e i danni causati ai lavoratori è inaccettabile. Scopri le origini del male.

Le origini del fast fashion: l’inizio della fine

Il fast fashion, letteralmente “moda veloce” è nato negli anni Ottanta. Alcune aziende cominiciano infatti a investire su un tipo di moda che consente a un capo di essere disegnato e spedito in negozio in appena 15 giorni. Un capo pronto per essere venduto a un prezzo incredibilmente basso rispetto agli standard. Questa modalità di produzione è poi esplosa negli anni Duemila. Le catene low cost iniziano quindi a proporre una collezione a settimana, contro le due che fino a quel momento avevano caratterizzato l’intero sistema di produzione. E ora il fast fashion è un fenomeno globale, che si è diffuso e ha contaminato ogni aspetto dell’industria moda. Oggi si vende infatti il 400% in più rispetto a trent’anni fa.

I motivi che hanno portato alla nascita del fast fashion

Per centinaia di anni lo stile è stato fatto in casa oppure da un sarto. Quando gli indumenti prodotti in fabbrica e venduti nei negozi diventarono più facili da reperire (intorno al 1900) l’abbigliamento diventò meno esclusivo. Ma comprare capi all’ultima moda era ancora fuori dalla portata della maggior parte. A partire dagli anni ’50, quando i redditi salirono, si cominciò ad accumulare più abiti e la gente iniziò a seguire la moda. L’abbigliamento iniziò poi a subire un calo di prezzo davvero vistoso. E oggi, non è più considerato una spesa che grava significativamente sul budget familiare. Con la graduale scomparsa della classe media, i negozi avevano bisogno di trovare i propri clienti. E così, i grandi magazzini intrapresero una feroce guerra dei ricarichi e praticarono continue svendite per stimolare il commercio. E oggi preferiscono riempire i propri scaffali con merce più abbordabile, mandando in pensione i vestiti ben fatti ed eliminando le linee di fascia alta.

Quali sono le conseguenze di tutto ciò?

Con il modello low cost, il sistema è semplicemente peggiorato: vent’anni fa le nostre scelte non erano così ristrette, così controllate e determinate dal costo finale. L’industria della moda è diventata così omogenea che la maggior parte dei consumatori adesso compra nel negozio con il prezzo più basso. La sicurezza di trovarci tutti i capi trendy del momento tanto è assicurata. Questa costante riduzione del prezzo ha cambiato il concetto di ciò che è “abbordabile” e la moda economica oggi non ha più bisogno di approvazione. È semplicemente il modo in cui molti di noi fanno acquisti. Vogue nel 2009 introdusse una rubrica intitolata “L’affarone del mese”. Molte riviste femminili stavano già pubblicando rubriche simili: in “Sperperare o risparmiare” le editor di Marie Claire proponevano un abito di H&M al posto di un firmato da 500 dollari. I blog sulla moda economica come The Budget Babe, Frugal-Fashionista e The Recessionista sono spuntati come funghi negli ultimi anni. E così, la moda economica ora occupa una fetta talmente grande del mercato dell’abbigliamento che è impossibile ignorarla.

Qual è l’impatto ambientale e sociale del fast fashion?

Secondo recenti dati di SMI (Sistema Moda Italia) la produzione di vestiti fashion e non a oggi costituisce il 20% dello spreco globale di acqua. Basti pensare che per produrre un singolo paio di jeans serve il fabbisogno di acqua che per cento giorni di vita di una persona che vive in occidente. Sono procedimenti inquinanti per l’ambiente e per i lavoratori. Un capo alla moda può costare i polmoni a chi lo ha fatto materialmente. Oppure può provocare l’assunzione di veleni attraverso l’acqua inquinata per gli abitanti di una vicina cittadina. Se la corsa agli acquisti di abbigliamento continuerà con lo stesso ritmo, l’industria della moda sarà responsabile di quasi un terzo delle emissioni mondiali di carbonio consentite per mantenere il riscaldamento globale al di sotto dei due gradi. Questo modello di business incoraggia una produzione e un consumo esagerati, generando un fiume di rifiuti ingestibili. E ormai non siamo più in grado di smaltire una tale quantità di vestiti. Il nostro modo di fare acquisti è destabilizzante per intere comunità e porta al disastro ambientale. E l’abbigliamento è al centro di tutto ciò. Siamo davvero disposti a pagare un prezzo simile, solo per pagare meno i nostri vestiti?