Siamo abituati a lavare i vestiti con una frequenza piuttosto elevata. E lo facciamo perché convinti che, sebbene privi di macchie evidenti, i vestiti siano comunque sporchi perché a contatto con l’ambiente esterno. E poi, è insito nella nostra cultura da talmente tanto tempo, che ormai la diamo come verità certa e inattaccabile. Ma sto per sconvolgervi la vita. Studi scientifici hanno dimostrato che non è tanto l’ambiente esterno a sporcare gli abiti. Siamo noi stessi!
Che cosa sporca i nostri vestiti?
Da studi mirati, ciò che sporcherebbe i vestiti non sono tanto gli agenti esterni quanto noi stessi. Uno studio pubblicato su Environmental Science & Technology sostiene infatti che ogni giorno perdiamo circa 500 milioni di cellule. E queste cellule, inevitabilmente, rimangono attaccate a ciò che indossiamo.

Ovviamente ci sono capi che richiedono di essere lavati dopo ogni singolo utilizzo, e questo perché sono a stretto contatto con il nostro corpo e con parti decisamente sensibili che richiedono la massima igiene. Avrete capito da voi che la biancheria intima, le calze e i collant richiedono lavaggi continui. Ma anche l’abbigliamento da palestra richiede la stessa attenzione. Questo perché i classici materiali per l’abbigliamento sportivo (tessuti tecnici) e il fatto di farci attività fisica (= sudore = cattivo odore) impongono lavaggi continui.
Quando lavare i vestiti?
Ci sono altri capi che invece non necessitano di lavaggi continui e seriali. Prendiamo ad esempio il reggiseno. Forse ci viene da pensare che, stando a contatto diretto con il corpo, richieda di essere buttato in lavatrice dopo un solo utilizzo. Ma non è così: il reggiseno può essere indossato 3-4 volte prima di prendere in considerazione l’idea di lavarlo. E sarò sincera, io lo indosso anche per più tempo se non emana cattivi odori.
Lo stesso ragionamento vale anche per i pantaloni. Per l’utilizzo che ne facciamo, la maggior parte delle volte basterebbe pulire le macchie con un panno, invece di buttare direttamente tutto in lavatrice. I pantaloni (e anche le gonne) possono essere rimessi numerose volte prima di un reale bisogno di metterli tra i panni sporchi.

Per le felpe e maglioni, diciamo che molto dipende anche dal tipo di tessuto. Ma anche in questo caso, è più una questione di odori che di numeri. Se il capo non è visibilmente macchiato e non emana cattivi odori, può essere indossato anche 5 volte prima di finire in lavatrice.
Per non parlare di giacche e cappotti che, in caso di macchie possono essere puliti a zona e se privi di cattivi odori possono richiedere anche un solo lavaggio a stagione. Per guanti, cappelli e sciarpe basteranno sui 4 lavaggi a stagione (ma dipende molto dalla frequenza di utilizzo che ne fate, potrebbero bastarne anche meno).
Affidiamoci al nostro naso!
Esiste una vera e propria attitudine al bucato, che ha a che vedere con la cultura locale e fattori psicologici. Uno studio congiunto tra il Center for Consumer Society Research dell’Università di Helsinki e l‘Institute of Sociological Research dell’Università di Ginevra ha portato avanti delle ricerche sulle pratiche del lavaggio dei vestiti, deducendo che si tratta per lo più di questioni psicologico-culturali. In parole povere, i motivi per i quali siamo portati a lavare i vestiti con un’alta frequenza non avrebbero sempre a che vedere con l’effettiva necessità igienica dei capi. Siamo in stretto contatto con la società e presentarci puliti e profumati è d’obbligo e questo non ci aiuta a sottrarci all’ingiustificata frequenza con cui laviamo i capi anche quando non necessario.

Ma la grande verità è che lavare i vestiti non dovrebbe dipendere dalla logica delle volte che indossiamo i capi, ma a seconda degli odori che questi emanano. Quindi dimenticate quello che ho scritto sopra e fidatevi del vostro naso!
Risparmiare è possibile
E non finisce qui. Perché c’è in ballo anche il bene del Pianeta e del nostro portafoglio! Secondo l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (Enea) un nucleo famigliare di tre persone può dedicare al bucato fino all’8% dei consumi elettrici, che possono però essere ridotti con piccoli accorgimenti.

Dei 2.700 kWh (kilowattora) consumati mediamente ogni anno da una famiglia, 216 kWh circa sono destinati al bucato (8%). Moltiplicandoli per i 26 milioni di famiglie si arriverebbe a stabilire che, in Italia, per lavare i panni vengono impiegati ogni anno 5,6 TWh di energia elettrica. Riducendo del 10% il ricorso alla lavatrice si risparmia più di mezzo TWh di energia elettrica, pari al 2% del consumo annuo nazionale. Poiché più della metà dell’energia elettrica è prodotta da fonti non rinnovabili, si può dedurre che questo risparmio coincida con poco più dell’1% dei consumi di gas che, nel nostro paese, consumiamo in ragione di 76,1 miliardi di metri cubi l’anno. Tutto ciò senza grossi impatti sulla nostra quotidianità, risparmiando sulle bollette, inquinando meno e persino facendo meno fatica.