Gli ultimi decenni sono stati conquistati e monopolizzati dalla moda low cost. Ogni settimana compaiono nuovi trend e nuove collezioni. E i capi ormai fuori moda che fine fanno? Te lo dico io: fanno una brutta fine. E chi paga il prezzo di questa moda frenetica? L’ambiente e i lavoratori. Ne vale davvero la pena?

L’avvento della moda low cost

Il grande accesso alla moda low cost è tipico degli ultimi cinquant’anni. Per secoli, i vestiti sono stati considerati un lusso. La gente ne aveva pochi: li riparava, li rimodellava e li faceva durare tutta la vita. Dopo il boom degli anni Sessanta, lo shopping ha proseguito la sua corsa fino ad arrivare alla velocità della luce alla moda low cost. Si è presto creata l’abitudine dell’abito Kleenex: usa e getta. Merito anche dei profondi cambiamenti culturali che hanno caratterizzato gli anni Sessata: fanno il loro ingresso lo streetwear e le mode giovanili. E in questo periodo seguire l’alta moda iniziò a diventare fuori moda.

Donna con molte borse di shopping mostra cos'è la moda low cost

Poi arriva il fast fashion, che nasce negli anni Ottanta e si impone con vigore nel corso degli anni Duemila. Questa nuova concezione della moda ha sradicato la tradizione delle due sfilate annuali (primavera/estate e autunno/inverno). Ora nuove collezioni vengono proposte ogni settimana, offrendo nuovi prodotti a basso costo e di pessima qualità che vengono acquistati senza convinzione e buttati via dopo essere stati usati solo poche volte. Questo ha fatto sì che i trend diventassero così tanti e così passeggeri, da invogliare la gente a continui cambi di look. Ecco spiegato perchè oggi i consumatori preferiscono comprare tanti capi a prezzo basso.

La delocalizzazione della moda low cost

Questi prezzi bassi, che adesso i consumatori si aspettano di pagare per i vestiti, sono basati sul costo della produzione in altri paesi. Ancora prima che l’inquinamento crescesse agli attuali livelli, la moda aveva infatti delocalizzato all’estero per approfittare delle paghe basse. Questo perché la manodopera costituisce ancora una gran parte del costo della produzione di abbigliamento. Secondo stime recenti, le materie prime contribuiscono in una percentuale fra il 25 e il 50% al costo di produzione di un capo d’abbigliamento. La manodopera fra il 20 e il 40%. Non è sul materiale che si risparmia, ma sulla manodopera: per produrre vestiti economici, occorre manodopera economica.

E se molte industrie europee sono corse ai ripari per diminuire i danni ambientali e sociali provocati dall’industria della moda; in Cina e negli altri Paesi emergenti le istanze etiche non riescono ancora a imporsi. Mark Angelo, un attivista statunitense, ha girato il mondo per esaminare lo stato dei corsi d’acqua negli Stati in cui sorgono i più grandi siti produttivi di abbigliamento. Ne ha ottenuto un documentario, River Blue che evidenzia come in Cina la crescita delle fabbriche di jeans abbia avuto un effetto fatale tanto per l’ambiente quanto per la società. E una situazione simile si sta verificando anche in Bangladesh. Qui le concerie e gli stabilimenti produttivi continuano a scaricare le proprie acque reflue nel fiume Buriganga, causandone la totale distruzione.

Il mondo diviso a metà, una parte sostenibile e l'altra inquinata. Cosa significa delocalizzare per la moda low cost

Che fine fanno i nostri abiti?

Come la moda low cost danneggia l'Africa. Canale pieno di rifiuti tessili.
fonte: https://rifo-lab.com/

E quando questa massa immensa di abiti, che dura appena qualche settimana sui manichini dei nostri negozi preferiti, non incontra l’interesse del pubblico o è vecchio e ormai già fuori moda, che cosa succede? Quasi tutti vengono bruciati contribuendo all’inquinamento del suolo e dell’aria. In altri casi, l’invenduto sparisce in discarica dove inquina notevolmente il terreno e diventa pericoloso in caso di roghi creando gas metano. Una fine analoga è quella degli abiti vecchi che, inviati a marcire fra i rifiuti per anni, sono a loro volta altamente inquinanti.

Tocca a noi cambiare le cose

Il prodotto, che è stato il grande sacrificato degli ultimi anni, deve tornare a rispettare i criteri di bellezza, originalità, qualità e durata che hanno contraddistinto gli abiti dei nostri nonni. Perché questo avvenga, però, si devono rispettare le norme antinquinamento, rifiutare la superproduzione che sfianca i creativi e, dal lato dei consumatori, iniziare a comprare quello che serve secondo criteri di necessità. Perché se il pubblico respinge il prodotto spazzatura, sarà la produzione a doversi modellare sui suoi gusti. E se il consumatore rifiuterà prodotti scadenti, omologati ed eseguiti da operai semi schiavizzati, riuscirà a vincere.

Post-it per ricordarsi di evitare la moda low cost/ immagine mia, con Canva
Grafica con Canva